Mi aspettavo questo momento. Lo aspettavo
come si aspetta un treno in ritardo o come si aspetta una lettera sperata. Ma in
realtà speravo che non arrivasse mai perché la speranza non conosce solo la
trepidante attesa ma anche l’ansia di vedersi disattesi e il desiderio di
tirare un sospiro di sollievo per poter dire “questa volta l’ho scampata”.
Ma eccomi qui ravvolta in coperte
sudate che non ho voglia di cambiare. Sul mio comodino stanno fogli che non
voglio più guardare, diagrammi e schemi di me stessa vista da dentro. Il mio
sangue, le mie ossa, il mio verme che cammina.
Questo è il momento che con tanta
ansia cacciavo via dalla mia mente eppure aspettavo comodamente aggrappata a
medicine di cui non ricordo i nomi. Come bastoni salva tempo, come formule
magiche che spingono la lancetta dell’orologio indietro invece che avanti. E mi
sono lasciata prendere dalla fiducia, ne sono diventata schiava. Quella stessa
fiducia che si fatica tanto a credere reale quando la vita è solo un nome
comune di cosa che non sappiamo bene cosa sia in realtà. Ma lo so bene io cosa
è la vita adesso che tutto il tempo si condensa in questo attimo.
Lo voglio dedicare a te questo
attimo. Perché sei tu quello che ha tirato fuori da me il meglio e il peggio
allo stesso tempo. Sei tu quello che a suo tempo mi ha fatto da specchio e ogni
volta che ti guardavo, guardavo me stessa riflessa. Sei sempre tu quello che è
diventato estraneo all’improvviso. In fondo lo sei sempre stato un poco,
protetto nella comfort zone delle tue paure, nello spazio che a nessuno era
concesso vedere. Insieme abbiamo esplorato tutte le sfumature dell’amicizia,
anche quelle più improbabili e solo adesso mi accorgo che non avevamo tempo e
ce lo siamo inventato, non avevamo idee di quello che volevamo da noi e le abbiamo
disegnate insieme. Avevamo solo parole che ci scambiavamo come due personaggi
impacciati in un libro che non sarebbe mai arrivato alla fine.
Dedico a te questo attimo
infinito in cui mi sembra di non trovare il tempo per farci entrare tutti. Allora
scelgo te che non puoi rispondermi e non puoi salutarmi, così che per una volta
non ci sia nessuno ad interrompermi.
Ho sempre avuto paura che il
tempo non fosse abbastanza e adesso che non lo è davvero mi concedo del tempo
per scrivere a te che hai imparato ad odiarmi, per dirti che l’odio non esiste,
non è mai esistito davvero. È un bamboccio di argilla che brandiamo come un’arma
per proteggerci quando non sappiamo cosa dire, quando siamo irrazionali, quando
non vogliamo dare spiegazioni. Di argilla è l’odio che mi hai lanciato in
faccia quando all’improvviso ti sei voluto sbarazzare di me. L’ho lavato via.
È pomeriggio, il sole fa fatica
ad entrare in questa stanza che odora di amuchina. Anche io odoro di asettico
come se cancellarmi l’odore possa disinfestarmi di qualcosa molto più radicato
in me. Ma io non sento niente, non sento radici infiltrarsi nelle ossa, né dolori
addormentarmi le mani e i piedi. Sento solo un ticchettio che mi dice che non
ho molto tempo per illudermi che sia tutto qui, che la vita si raccoglie qui
dove bisogna dire quello che non si è detto, congedarsi da chi ci ha odiato più
che da chi ci ha amato. Ma un’ultima illusione me la voglio prendere, me la
sono guadagnata quando ho creduto che fare domani quello che avrei potuto fare
subito era la soluzione migliore. Allora mi illudo che questo sia il momento
per piegare la tua irrazionalità ad una vita che tu hai visto sempre sfuggire
tra le mani di chi volevi bene. Ma non è quella la vita. Non è quella che se ne
va, non è quella che si addormenta sotto le lapidi o nell’odore di fiori
bruciati dal sole, non è la mia che con un giro di valzer si sta per fermare
stremata all’angolo della mia maturità. La vita è quella che rimane. È quella
che rimane nelle parole di chi la vuole amare fino al momento dell’addio, è
quella che rimane inchiodata nel cuore, nelle memorie, nell’odio che non
abbiamo saputo percorrere fino in fondo. Perché sappi che l’amore non muore con
l’odio. L’amore non muore. L’amore cambia e trova pose più comode per fingersi
indifferente, svanito.
Non so se domani avrò la forza di
sollevare una penna per rivolgermi a te, non so nemmeno se potrò sorridere
domani o solo pensare di compiere qualsiasi movimento. Forse domani mi
sveglierò altrove. Però oggi ti dedico questo raro momento di lucidità per
dirti che qui, dove si raccolgono i giorni, ti ho ritrovato. Perché, non l’avrei
mai immaginato, ma è alla fine come questa che tutte le persone che avevamo
voluto nascondere nelle pieghe del cuore, nei meandri della mente, negli angoli
oscuri dell’anima, vengono fuori come in corteo a ricordarmi che la vita non
muore mai e l’odio non esiste.
Prendi questo attimo infinito in
cui ogni cosa sembra chiara e nascondilo dove nessuno possa mai portartelo via.
Ognuno sceglie un depositario ed io scelgo te che non puoi rispondermi. Per tutte
le volte che non mi hai voluta ascoltare e per tutte quelle che non mi hai
lasciato finire.
Cercami adesso e non mi troverai
più.
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