giovedì 3 aprile 2014

Storie di altri - Storia n. 7



Mi aspettavo questo momento. Lo aspettavo come si aspetta un treno in ritardo o come si aspetta una lettera sperata. Ma in realtà speravo che non arrivasse mai perché la speranza non conosce solo la trepidante attesa ma anche l’ansia di vedersi disattesi e il desiderio di tirare un sospiro di sollievo per poter dire “questa volta l’ho scampata”.
Ma eccomi qui ravvolta in coperte sudate che non ho voglia di cambiare. Sul mio comodino stanno fogli che non voglio più guardare, diagrammi e schemi di me stessa vista da dentro. Il mio sangue, le mie ossa, il mio verme che cammina.
Questo è il momento che con tanta ansia cacciavo via dalla mia mente eppure aspettavo comodamente aggrappata a medicine di cui non ricordo i nomi. Come bastoni salva tempo, come formule magiche che spingono la lancetta dell’orologio indietro invece che avanti. E mi sono lasciata prendere dalla fiducia, ne sono diventata schiava. Quella stessa fiducia che si fatica tanto a credere reale quando la vita è solo un nome comune di cosa che non sappiamo bene cosa sia in realtà. Ma lo so bene io cosa è la vita adesso che tutto il tempo si condensa in questo attimo.
Lo voglio dedicare a te questo attimo. Perché sei tu quello che ha tirato fuori da me il meglio e il peggio allo stesso tempo. Sei tu quello che a suo tempo mi ha fatto da specchio e ogni volta che ti guardavo, guardavo me stessa riflessa. Sei sempre tu quello che è diventato estraneo all’improvviso. In fondo lo sei sempre stato un poco, protetto nella comfort zone delle tue paure, nello spazio che a nessuno era concesso vedere. Insieme abbiamo esplorato tutte le sfumature dell’amicizia, anche quelle più improbabili e solo adesso mi accorgo che non avevamo tempo e ce lo siamo inventato, non avevamo idee di quello che volevamo da noi e le abbiamo disegnate insieme. Avevamo solo parole che ci scambiavamo come due personaggi impacciati in un libro che non sarebbe mai arrivato alla fine.
Dedico a te questo attimo infinito in cui mi sembra di non trovare il tempo per farci entrare tutti. Allora scelgo te che non puoi rispondermi e non puoi salutarmi, così che per una volta non ci sia nessuno ad interrompermi. 
Ho sempre avuto paura che il tempo non fosse abbastanza e adesso che non lo è davvero mi concedo del tempo per scrivere a te che hai imparato ad odiarmi, per dirti che l’odio non esiste, non è mai esistito davvero. È un bamboccio di argilla che brandiamo come un’arma per proteggerci quando non sappiamo cosa dire, quando siamo irrazionali, quando non vogliamo dare spiegazioni. Di argilla è l’odio che mi hai lanciato in faccia quando all’improvviso ti sei voluto sbarazzare di me. L’ho lavato via.
È pomeriggio, il sole fa fatica ad entrare in questa stanza che odora di amuchina. Anche io odoro di asettico come se cancellarmi l’odore possa disinfestarmi di qualcosa molto più radicato in me. Ma io non sento niente, non sento radici infiltrarsi nelle ossa, né dolori addormentarmi le mani e i piedi. Sento solo un ticchettio che mi dice che non ho molto tempo per illudermi che sia tutto qui, che la vita si raccoglie qui dove bisogna dire quello che non si è detto, congedarsi da chi ci ha odiato più che da chi ci ha amato. Ma un’ultima illusione me la voglio prendere, me la sono guadagnata quando ho creduto che fare domani quello che avrei potuto fare subito era la soluzione migliore. Allora mi illudo che questo sia il momento per piegare la tua irrazionalità ad una vita che tu hai visto sempre sfuggire tra le mani di chi volevi bene. Ma non è quella la vita. Non è quella che se ne va, non è quella che si addormenta sotto le lapidi o nell’odore di fiori bruciati dal sole, non è la mia che con un giro di valzer si sta per fermare stremata all’angolo della mia maturità. La vita è quella che rimane. È quella che rimane nelle parole di chi la vuole amare fino al momento dell’addio, è quella che rimane inchiodata nel cuore, nelle memorie, nell’odio che non abbiamo saputo percorrere fino in fondo. Perché sappi che l’amore non muore con l’odio. L’amore non muore. L’amore cambia e trova pose più comode per fingersi indifferente, svanito.
Non so se domani avrò la forza di sollevare una penna per rivolgermi a te, non so nemmeno se potrò sorridere domani o solo pensare di compiere qualsiasi movimento. Forse domani mi sveglierò altrove. Però oggi ti dedico questo raro momento di lucidità per dirti che qui, dove si raccolgono i giorni, ti ho ritrovato. Perché, non l’avrei mai immaginato, ma è alla fine come questa che tutte le persone che avevamo voluto nascondere nelle pieghe del cuore, nei meandri della mente, negli angoli oscuri dell’anima, vengono fuori come in corteo a ricordarmi che la vita non muore mai e l’odio non esiste.
Prendi questo attimo infinito in cui ogni cosa sembra chiara e nascondilo dove nessuno possa mai portartelo via. Ognuno sceglie un depositario ed io scelgo te che non puoi rispondermi. Per tutte le volte che non mi hai voluta ascoltare e per tutte quelle che non mi hai lasciato finire.
Cercami adesso e non mi troverai più.

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