Io
sono Anna Frank puntata 2x5
Per chi, come me,
aveva covato perplessità e dubbi sui reali intenti stilistici e narrativi di
questa seconda stagione di American Horror Story, la quinta puntata, che dal
titolo Io sono Anna Frank parte2 si annunciava come una risoluzione della
puntata precedente, in realtà si è rivelata una sorpresa sotto tutti i punti di
vista.
Iniziata con le
indagini di Suor Jude sulla vera identità del dottor Arden, in un crescendo
evidente e dal ritmo cadenzato, si snoda poi nella concitata progressione delle
singole vicende dei vari personaggi. Viene apparentemente svelata l’identità
della presunta Anna Frank, che in realtà si scopre essere una donna affetta da
trauma post-partum con manie ossessive e disturbi della personalità, salvo poi
rilanciare il dubbio a fine puntata.
Dominante anche
il tema della maternità: la maternità negata di quest’ultima, e quella privata
a Grace, sottoposta per volontà di suor Jude a sterilizzazione.
Il caso di Kit
volge alla risoluzione, risoluzione solo
fittizia a quanto pare, in un serial movie maestro nel tenere con il fiato
sospeso.
Finalmente anche
il personaggio del dottor Thredson assume una propria ambiguità, e dunque un proprio
spessore.
La vicenda del
dottor Arden si avvia ad una complessità che sconfina nel thriller storico,
godendo peraltro di un particolare simbolismo che si concretizza nel rapporto che
va a delinearsi con suor Mary Eunice, posseduta dal demonio. La connivenza tra il
malefico e il nazismo, per nulla scontato nei modi della sua rappresentazione,
conferiscono alla descrizione del personaggio di Arden una caratterizzazione
nuova che poche volte ha trovato nel cinema un’espressione simile.
Dal canto suo, la
vicenda personale di suor Jude in questa puntata trova una svolta che si
realizza in una sorta di presa di coscienza, un’arrendevole accettazione del
passato e l’amara constatazione della sua femminilità, a quanto pare
inconciliabile con il potere gestito dagli uomini.
Occorreva probabilmente
aspettare questa 5° puntata per godere a pieno del genio creativo
particolarissimo di Brian Murphy e Brad Falchuk alle prese con il sequel della
prima stagione. La serie ha adesso cominciato, anche grazie alla molteplicità
di tecniche e modalità narrative, ad assumere una sua personalissima identità
stilistica frutto della fusione di più generi, spaziando dal thriller al film
storico, passando per lo psychological movie.
In questa puntata
il simbolismo delle immagini, i modi di rappresentazione, inquadrature inclinate,
viraggi stilistici specifici, tutti elementi che contribuiscono ad attribuire
eccellenza e originalità alla fotografia, concorrono a definire anche una
narrazione meta-filmica che affonda il suo significato più profondo in un
vorticoso ed elaboratissimo citazionismo. D'altronde la volontà dei creatori di
omaggiare un cinema di genere si era reso evidentissimo sin da subito e in modo
molto meno velato rispetto alla prima stagione della serie.
Dalle musiche ai
dialoghi, con particolare attenzione alla contestualizzazione dei flashback per
mezzo di audio da docu-film (come il sottofondo delle marce di eserciti
nazisti), Asylum ha acquistato in questa quinta puntata lo spessore che le
precedenti quattro puntate non avevano dimostrato di avere, a questo punto
definendosi quasi solo come un lungo prologo dei fatti, una presentazione programmata
dei protagonisti.
Sì, perché se c’è
un altro aspetto che distingue American Horror Story – Asylum dalle altre serie
e dalla sua stessa prima stagione è che tutti sono protagonisti,
approfonditamente radicati in un’ambientazione che di horror ha veramente poco,
ma in realtà ha molto di più, posizionandosi al di là di una scelta di genere.
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