Forse
solo una donna avrebbe potuto delineare una biografia così appassionata e sovversiva
come quella di Frida Kahlo, rivoluzionaria pittrice messicana poco conosciuta
in Europa.
E questa
donna è la regista Julie Taymor, che con un caparbio quanto ambizioso progetto,
che l’ha trascinata per anni insieme a
Salma Hayek alla ricerca di finanziamenti e collaborazioni adeguate, ha dato
vita, nel 2002, all’adattamento cinematografico dalla biografia di Hayden Herrera,
che se nelle intenzioni voleva essere un
omaggio alla figura di Frida, nella pratica si è trasformato in una prova di
stile.
La
disponibilità di un budget limitato ha fatto si che la regia compisse scelte
originali in grado di sopperire all’assenza di mezzi, ma anche in grado di dare
risalto allo spirito della pittrice messicana. Il confine indefinito tra
narrazione e rappresentazione fa di questa pellicola un ritratto a tinte forti
della disperata vicenda di Frida, sullo sfondo di un Messico rivoluzionario.
Vicenda
personale e storia nazionale si mescolano, lasciando spazio a personaggi come
la fotografa italiana Tina Modotti, il muralista Siqueiros, Lev Trotsky,
politico e rivoluzionario russo, i quali gravitano nell’orbita di Frida Kahlo e
della sua Alcoba Azul. Tra questi Diego Rivera, Dieghito, cosi lo chiamava
amorevolmente Frida, interprete di spicco dell’arte pittorica messicana
all’insegna di un forte impegno sociale, occupa un posto di rilievo in quanto
compagno, marito, collega della pittrice.
La
scelta dei costumi, delle musiche, di Elliot Goldenthal, e dei dialoghi
riecheggiano del sapore di un Messico lontano e magico. L’interpretazione
magistrale di Salma Hayek, nei panni della pittrice, rende onore alla figura di
Frida rappresentando, a dire dei conoscenti ancora in vita dell’artista
messicana, la più riuscita fra tutte quelle fin’ora partorite dall’industria
cinematografica (da ricordare Frida,
naturalezza viva di Paul Leduc del 1986)
Un
cast di tutto rilievo, Fred Molina, Antonio Banderas, Geoffrey Rush, completa
l’impianto di un film che si è guadagnato ben due Oscar (miglior trucco e
migliore colonna sonora) e un gran numero di nomination e altri premi.
Lungi
dall’essere un ritratto femminista e pretenzioso, l’opera della Taymor gode di
un raffinato taglio registico, a mio parere dall’inconfondibile impronta
femminile, e gode di un avvincente
impianto narrativo e di un equilibrato ritmo giocato su un originale montaggio
fra episodi realmente accaduti e visioni surreali, provenienti direttamente
dalla fantasia della pittrice.
Dall’incidente
che la costrinse a letto per mesi interi, all’incontro decisivo con il pittore
Rivera, passando per i tormenti privati di un anima fragile, il film della Taymor
disegna con riverente rispetto una vicenda che non può che esprimersi se non
attraverso le immagini. Perché questo fu Frida: ideatrice di se stessa, della
sua stessa immagine, la grande ocultadora,
come amava definirsi, nel tentativo di essere lei stessa arte, creazione,
armatura da opporre alla fragilità del suo corpo.
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