lunedì 11 marzo 2013

MI DISPIACE: NON SCENDO A COMPROMESSI



A compromessi non scendo. Ho aperto questo blog per avere uno spazio che mi consenta di valutare autonomamente il peso di ciò che dico. Sono molti i motivi che spingono ad aprire un blog. Nel mio caso, per quanto mi possa fare piacere essere seguita, letta o condivisa, la motivazione più forte resiste all’ansia da visualizzazioni. Nel mio piccolo, e nel mio desiderio di emanciparmi da chi fa della visibilità una soddisfazione fine a se stessa, voglio fare la differenza.
Impera il bisogno di contenuti adeguati a cogliere consensi, ma la possibilità di utilizzare un mezzo come il web per dar risonanza alle proprie idee deve necessariamente fare i conti anche con l’inestimabile valore che questa libertà d’espressione porta con sé. E non c’è libertà nel gareggiare verso la notizia dal titolo più invitante, dal contenuto più piccante o dallo scoop più sconcertante.

Si fa spesso l’errore di cadere vittima della velocità di propagazione del web. E se nelle intenzioni la gestione del proprio spazio si configurava come uno spazio autonomo, in concreto si finisce per farsi condizionare da ciò che alla gente piace leggere. Ma alla gente piace leggere ciò a cui li si abitua. È sempre una questione di condizionamenti. Ognuno si impelaga in un voyeurismo maniaco ossessivo, come se la relazione con il mondo lì fuori si misurasse attraverso il grado di conoscenza delle notizie più in vista. Ma chi impone i canoni di questa moda dell’informazione? Non è ammissibile che il contenuto perdi di senso al confronto con la corsa al consenso.
Una notizia mal data e ultraseguita rappresenta un pericolo a cui non si presta mai troppa attenzione.
Sembra quasi che l’importante sia dare una notizia perché è su tutti i giornali, perché ha dell’incredibile e perché ne hanno parlato al tg. Intanto ci sono tutta una serie di notizie che meriterebbero di avere le prime pagine e vengono trascurate perché non abbastanza travolgenti. L’informazione non ha come scopo l’intrattenimento ma l’informazione appunto. E si dovrebbe fare informazione dove non ce n’è troppa.

Tutti si lamentano, la crisi, la disoccupazione, il disagio di non sentirsi rappresentati. Ma chissà perché nessuno va oltre le scenette melodrammatiche a tratti pietose che hanno come protagonisti i nostri bei politici in lustrini e con la bocca sporca di menzogne. Dal comizio, passando per la conferenza stampa, per approdare poi allo spettacolo di Crozza: l’iter standard dell’italiano che si informa.
Vedo che si comincia a non fare più molta differenza tra ciò che accade e ciò che ci vogliono far vedere. Ci affliggono e poi ci tirano su il morale con la satira. Come avere uno schiaffone in pieno viso e poi farsi fare una carezza per alleviare la sferzata. È così che diamo il nostro consenso, assecondando un gioco che a ben vedere non ha nulla di divertente.
L’informazione si è fatta serva del potere e allo stesso tempo si è lasciata schiavizzare dal bisogno del popolo, bisogno che nel popolo è stato creato da chi vuole governarci alle proprie condizioni. Non è difficile da capire, un po’ meno facile è venirne fuori.

Io non posso non usare il mio spazio, spazio che ho cercato e voluto, per sostenere l’idea che l’informazione non va fatta solo da chi si è investito del potere di dire le cose come stanno. Non voglio farmi alienare dall’articoletto gustoso, buono a fornirmi solo un buon argomento di conversazione. La libertà d’espressione e la libera informazione potrebbero essere oro se usate per far venire a galla tutto ciò che si tende a nascondere sotto il letto.
Le storie di ognuno hanno un peso senza necessariamente essere condite di dettagli piccanti, e hanno un peso soprattutto se sono testimonianza della realtà vera, quella vissuta, quella sofferta e sacrificata. Sono gli uomini e le donne a fare la storia di un paese. Cominciamo a raccontarci le nostre storie e a smetterla di farcele raccontare da chi si illude di fare giornalismo per puro godimento personale, fame di gloria e stress da boom di visualizzazioni.
Mi hanno proposto di collaborare ad un portale di informazione via web. Il listino dei compensi prevedeva tariffe in base agli argomenti, e fin qui niente di strano, ma oltre a ciò prevedeva anche un compenso diverso in base alle visualizzazioni. Preferisco scrivere gratis e di ciò che ritengo vada detto e non lasciarmi ingabbiare dalla logica del gradimento.
Continuo a dire che IL LAVORO VA PAGATO, ma a parte ciò, aggiungo anche che il mio compenso non lo fa il dettaglio piccante ben piazzato nel bel mezzo di un articolo che io spero poi abbia 30000 visualizzazioni così che da accumulare 15 euro. Preferisco auto compensarmi con la soddisfazione di non essermi fatta piegare da una regola che non condivido.
Continuerò sempre a preferire la verità piuttosto che farmi complice del degrado dell’informazione ad intrattenimento.

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