Non si
sentivano più bombe da almeno cinque ore. Il tempo dilatato della guerra rendeva un
dato di fatto come questo una certezza incoraggiante. La tensione dell’allerta,
il freddo che gelava le ossa e il buio non aiutavano, come non aiutava il fatto
che non riusciva più a sentire le dita del piede destro. Ma non si sentivano
più bombe da almeno cinque ore e forse era giunto il momento di correre alla
ricerca del prossimo rifugio.
L’alienazione
della guerra aveva reso tutti inermi, anche solo davanti alla parola di un
compagno.
Scheletri
in divise lerce comparvero, al segnale di un fischio, dietro massi, alberi e
barricate improvvisate. Ad un uomo, Igor notò, mancava un orecchio e la benda
con cui lo avevano medicato a mala pena era distinguibile per il ristagno di
sangue. Ma pensò che fosse una fortuna anche quella. Perdere un orecchio non è
come perdere un braccio, o una gamba. Di orecchie ne abbiamo due e per un giovane
soldato deve essere una fortuna. Aggrappato alla spalla del giovane mono
orecchio si sorreggeva un uomo meno grato ai combattimenti, che invece a lui
aveva deciso di portare via una mano.
Igor si
guardò le scarpe per accertare di non aver perso anche lui qualcosa, distratto
dal tentativo di rimanere sveglio e vigile, ma i piedi ce li aveva ancora
entrambi, sebbene quello destro non stesse dando alcun segno di vita. Si accodò
alla colonna disordinata di divise vaganti e si mise in marcia, non si sapeva
ancora per dove e ormai neppure perché.
Ricordò
l’ultima volta che aveva baciato una donna. Era bellissima mentre si nascondeva
da sguardi indiscreti dietro una tenda ricamata a mano nella cucina di sua
madre. Quante volte aveva sognato di addormentarsi sul seno prosperoso della
giovane Odetta, e sognato di baciarle la nuca solo per spostarle i lunghi,
pesanti capelli neri corvino e spogliarla così di un velo.
“Tornerò presto a baciarla e le strapperò una
promessa”, mentre pensava a tutte queste cose, Igor non poté non notare,
sul ciglio della strada, una ragazzina accanto ad un uomo dallo sguardo torvo
con una lunga barba sporca. Aveva indosso un vestito di lana lacero e aveva
avvolto i piedi in stracci che teneva su con dei lacci. La bambina lo guardò
come si guarderebbe un eroe, gli sorrise e Igor si accorse di quanto fossero
verdi gli occhi di quella ragazzina, due pietre in un deserto in cui non
cresceva nemmeno più un filo d’erba.
Trascinando
il piede e combattendo contro l’istinto ad addormentarsi – non ricordava più
quando aveva dormito davvero negli ultimi dieci giorni – si accodò di nuovo a
quella processione di spiriti in divisa e proseguì.
Non gli
sembrò poi tanto male muoversi. Sempre meglio che rimanere fermi, inchiodati
dalla paura ad aspettare che il nemico intuisca la propria presenza. E mentre
ciondolava e in questo modo si trascinava, un motivetto prese a suonare nella
sua testa. Non riusciva proprio a ricordare dove l’avesse sentito. Non si
sforzò di ricordare e fu contento, perché la musica tiene allegri e fa
compagnia. Stavano andando a mettersi al sicuro, non si sentivano bombe da più
di cinque ore, dunque cosa poteva esserci di meglio in quella situazione?
Dopo
molte ore di marcia, quando il sole già aveva preso a scendere, come per tacito
accordo, la fila di soldati logori si sparpagliò e ognuno si accampò come poté.
Igor
appoggiò lo zaino ad un masso un poco sporgente su cui nitida spiccava una
macchia rossa e secca, e si sdraiò. Il cielo era un tripudio di stelle e tutte
sembravano disegnare una forma, che sembravano disegni di un bambino su una
lavagna infinita. Ogni tanto giungeva un lamento. Ma Igor ci era abituato. Pensò
potesse essere l’uomo con un orecchio solo o il suo amico senza mano.
Intanto
con le stelle disegnava lui stesso immagini di sogno e mentre lo faceva pensò
alla ragazzina dagli occhi cangianti.
Era
ora di provare a dormire. Si voltò su un fianco. Mentre chiudeva gli occhi, un
attimo prima che fosse buio, dalla fessura del suo sguardo stanco notò la
ragazzina con gli stracci al posto delle scarpe e gli occhi di pietra. Era
ancora lì! “Forse la sto solo
immaginando. Cosa ci fa una ragazzina, adesso persino sola, di notte, qui?”. Chiuse
gli occhi, ma non li tenne chiusi per molto perché quando si sentì tirare per
una mano dovette aprirli e con sorpresa constatare che quella ragazzina era lì,
in carne e ossa e gli stava chiedendo di alzarsi. La seguì oltre il filare di
alberi che dalla campagna portava alla strada, non c’era nulla che potesse
fermarlo.
Una piccola
ombra scura sbarrò loro la strada. La ragazzina si scostò per lasciarlo
avvicinare e si mise al suo fianco, mentre allungava la mano ossuta a stringere
la sua.
Sulle
prime Igor dovette faticare perché i suoi occhi mettessero a fuoco nel buio
della sera, ma poi vide. Un cumulo di corpi inermi ammassati formavano una
montagnetta di carne e stracci. Qualcuno aveva avuto cura di ammucchiare quei
morti l’uno sull’altro, ma nessuno aveva avuto abbastanza cura per occuparsene
davvero concedendo loro almeno l’abbraccio della terra. Non fece in tempo a finire
questo pensiero e a spiegarsi perché la ragazzina l’avesse portato lì, quando
il suo sguardo mise a fuoco, stirati sotto il peso di altre gambe e schiene e
corpi, due piedi avvolti in fagotti di stracci. Non riuscì ad avere paura perché
accanto a quel corpo di bambina ce n’era un altro in divisa, senza il piede
destro e senza vita.
Guardò
la ragazzina con gli occhi verdi che accanto a lui aspettava un cenno, le
strinse più forte la mano e finalmente rispose al suo sorriso.
Per
loro la guerra era finita.
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