Oggi ho capito davvero una cosa.
Nessuno può dirti chi sei, come sei e come ti senti, perché fai fatica anche tu
a dire come sei fatto. Ed è abbastanza spiazzante, pari ad un bicchiere d’acqua
gelata in faccia, che ti fa anche ridere se la mano che te l’ha lanciata lo ha
fatto per simpatia, ma chi lo ha chiesto?
Non l’ho chiesto di sapere come sono
fatta, non ho commissionato un’etichetta e neppure un check up che mi rassicuri sulle mie condizioni attuali.
È davvero imbarazzante quando una persona che conosci da meno di un mese ti
dichiari l’idea che si è fatto su di te e decida di farlo utilizzando una sola
frase, che suona più di sentenza che di altro. E allora tu sei lì che sorridi
rispondendo al sorriso dall’altra parte, mostri rispetto perché la persona che
ti è davanti potrebbe essere tua nonna, inclini un po’ la testa, provi a
cambiare discorso, torni a sorridere e nella indistruttibile libertà della tua
testa (lì si che nessuno ti interrompe con verdetti dell’ultimo minuto) ti
chiedi quale disperato, impellente bisogno ha generato questo momento di
franchezza, in una così bella giornata di sole. Eri passata da casa sua per
essere gentile, per chiederle se avesse bisogno di qualcosa e lei,
probabilmente spinta dalla sincerità che, a quanto pare, per statuto aumenta
con l’aumentare della differenza d’età tra due parlanti, a favore del più
anziano è ovvio, ha considerato importante dirti quello che stava pensando di
te.
Io degli altri penso quasi sempre che
abbiano un motivo per fare quello che fanno, per stare come stanno o per essere
come sono. Ognuno è un mondo unico che raramente, e solo per scelta, decide di
condividere avanzando motivazioni. Le motivazioni, però, qualche volta suonano
anche come giustificazioni e non bisognerebbe mai giustificare se stessi per
sembrare più accettabili, socialmente accettabili o socialmente uniformabili ad
un comportamento standard.
E lo standard al quale non mi
uniformo, a dire di una coppia di gentilissimi, disponibili e molto dolci
settantenni è quello che prevede che un “giovane” della mia età esca di casa, a
farsi un giro, a ballare o il sabato sera a bere una cosa, e che lo faccia,
altrimenti…mah! Ed è, a quanto sembra, molto strano, moltissimo, tanto da farmi
guadagnare l’etichetta di vecchietta, e il commento sommesso dalla cucina “che
brutta gioventù”.
Che poi io a questa brutta gioventù ci
appartengo volentieri e non mi offende mica sentirmi chiamare vecchietta, che
tanto in qualsiasi modo la mettiamo…noi passeremo alla storia come “la brutta
gioventù”. Un titolo onorifico che ci identifichi ai posteri ce lo siamo
guadagnati anche noi. Sempre più fortunati noi di quelli che negli anni 90
dovevano sentirsi chiamare con una lettera dell’alfabeto e andarne pure orgogliosi!
Nessun commento:
Posta un commento