Perchè leggere John
Cheever?
John Cheever è la
quintessenza della schiettezza, la lama tagliente e calamitica che
fende le pagine e risucchia il lettore nella disarmante verità e
normalità della periferia, delle vite di uomini qualunque, allo
stesso tempo unici ma brutalmente aggrappati alla piega più storta
del proprio io.
John Cheever è lo
scrittore di cui il professore non ci ha parlato quando studiavamo,
l'autore di cui non si regala mai un libro a Natale eppure è uno dei
più importanti scrittori del 900, vincitore del premio Pulitzer nel
1979 e autore del capolavoro “Cronache della famiglia Wapshot”
e “Bullet Park”.
Vale la pena leggere
Cheever perchè, già sfogliando poche pagine di uno dei suoi
romanzi, ci si rende conto di essere di fronte all'anima stessa dello
scrittore che si fa inchiostro.
Cheever (1912-1982) era
un outsider, secondo figlio non voluto, al punto, come sua madre ha
raccontato, che suo padre arrivò a consultare un medico disposto ad
eseguire un aborto invitandolo a cena.
Cheever è stato
alcolista tutta la vita, uno di quelli seri come alcuni dei
personaggi che descrive nei suoi romanzi.
Scorrendo le sue pagine
si avverte distintamente l'ansia di scrivere, quasi di espellere che
animava la sua mano, la disperazione che spinge alla ricerca della
pace, ma anche il cinismo nei confronti di quella mediocrità un po'
nevrotica che contrassegna la società di cui si fa così
distintamente narratore.
Autore di moltissimi
racconti e di cinque romanzi, John Cheever si distingue ad ogni passo
per la calma disposizione del narratore che pur lascia che la mente
si perda per un attimo nei suoi giri assurdi per riapprodare poi alla
linearità della storia e della vita. È romanziere e poeta, dosa con
meticolosa determinazione il messaggio, lo centinella in descrizioni
puntigliose o lo spiattella nella sua crudità, ornandolo solo
dell'urgenza e della sua non mascherabile verità.
Dietro le sue pagine ci
sono i sogni inenarrabili dell'uomo medio americano, schiacciato tra
le sue nevrosi e la costruzione della sua perfetta casa arredata
dalla sua perfetta moglie e popolata dei suoi perfetti figli. C'è la
solitudine della periferia, la genuina bellezza della diversità, la
rabbia della domanda che non ha risposta e la graffiante perversione
dell'essere buoni in un mondo che ci vuole buoni a tutti i costi. C'è
anche il destino che non guarda in faccia a nessuno e non conosce
nomi.
Tra le pagine di John
Cheever leggiamo l'amore, quello sessuale, impellente, ma anche
quello delicato che si ripiega su se stesso e si accontenta della sua
stessa delicatezza. Quello che è condanna ma anche consolazione.
Impossibile prescindere
dal dualismo che sigilla le opere di Cheever, tra giusto e sbagliato,
tra bene e male, un dualismo che a ben vedere è la chiave di lettura
di quella società d cui John Cheever fu eccelso narratore.
“Sosteniamo di
possedere l’onestà della disperazione mentre di fatto non facciamo
altro che innalzare strutture completamente artificiose di una realtà
che possa risultare accettabile, e pervicacemente ci rifiutiamo di
riconoscere i termini veri della nostra esistenza” (Bullet
Park).
“La mia colpa stava
nel fatto che pensavo all'amore come a un inebriante distillato di
nostalgia, a una forza della memoria che avesse resistito all'analisi
della cibernetica. Non ci si innamora, pensavo, ma ci si reinserisce,
nell'amore, e io mi ero innamorato di un ricordo, di un filo bianco e
di un temporale coi tuoni.” (Bullet Park).
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