Sono consapevole di essere un tipo pesante quando mi ci
metto, pedante e anche ipercritico qualche volta. Mi attacco alle parole come
fossero incontrovertibili dichiarazioni di guerra. Forse non sono questo ma
sono di certo incontrovertibili.
Una volta detta una cosa. la si è detta. Non c’è modo di
rimangiarsela. Il minimo che si possa fare è motivarla.
Non che io voglia stare qui a disquisire sulle mie manie, ma
questa mattina capito un po’ per caso un po’ no, sulla pagina di la Repubblica che titola Frida, l’icona pop dell’arte, in mostra a
Genova.
A parte i primi due secondi in cui il mio sguardo si è
focalizzato sulle parole Frida e Genova, dopo ho fatto fatica a credere ai miei
occhi. Icona pop. Icona pop???
Leggendo il trafiletto mi accorgo che la definizione è stata
estrapolata dalla dichiarazione di Luca Borzani, presidente della Fondazione
Palazzo Ducale di Genova. Mi accorgo persino che tutti i titoli legati alla
promozione della mostra in programma a Genova riportano la stessa definizione.
È qui che io divento pesante, pedante e ipercritica.
Ora, ben lungi dal voler scagliare la mia nevrosi mattutina
contro Luca Borzani perché sono certa che dietro la scelta di un titolo del
genere ci sia lo zampino esperto di un giornalista attento, mi domando e dico:
era necessario affibbiare a Frida Kahlo, in occasione di un evento così
importante, una definizione così spicciola e approssimativa che alle orecchie
dei più arriverà come una lapidaria definizione di genere?
Non credo che il prof. Borzani abbia voluto usare la parola
pop e accostarla ad icona (che con Frida ci starebbe anche bene!) con la
leggerezza di chi appallottola la complessità di una travagliata carriera
personale e artistica per poi ridurla all’innegabile successo popolare avuto in
Italia dopo la mostra a Roma, alle Scuderie del Quirinale, e ora a Genova.
La popolarità di Frida, a casa nostra, in questo ultimo anno si
regge su ben più noiosi meccanismi di marketing, che non disprezzo affatto se
consideriamo i molti che sono venuti a conoscenza dell’artista eccezionale che
Frida è stata, meccanismi che però rischiano di trasformarsi in produttori di
mode che passano e non lasciano niente. Il fine non giustifica i mezzi.
La promozione della cultura passa anche e soprattutto
attraverso le parole. E quando penso ad icona pop penso a ben altro, penso ad
un paio di Levi’s, a Britney Spears, per formazione penso ovviamente a Warhol,
ma non penso a Frida.
Frida Kahlo, nei suoi ultimi anni di vita, ha sofferto moltissimo a causa della mancata
popolarità dei suoi quadri in Messico, dove era solo la moglie del grande
muralista del popolo, sebbene in Francia già c’era chi riconosceva il suo genio
e il talento. Solo pochi mesi prima che morisse suo marito, l’artista Diego
Rivera, le organizzò una personale a cui lei partecipò amputata e sdraiata su
un letto.
Né si può sostenere con onestà che la sua popolarità in
Italia sia sufficiente a definirla icona pop. Frida era ben altro che un’icona
pop. Era una donna, un’artista, un’attivista, cultrice di storia popolare
messicana, compagna di un’imponente personalità messicana, quale era Rivera, ma
non era e non sarà mai pop.
Le parole hanno il peso di un macigno soprattutto quando il
proprio obiettivo è la promozione culturale.
Il termine pop si riferisce ad una cultura di massa che non
ha sempre un’accezione positiva.
“…la cultura di massa,
tipica delle società che sono entrate nella fase del consumo di massa, si
presenta come un prodotto artificiale, costruito in un laboratorio da tutti
coloro che gestiscono i potenti strumenti dell'industria culturale [...] quelli
che Vance Packard ha definito i "persuasori occulti", veri e propri
manipolatori di professione, dominati da una preoccupazione assorbente: vendere
il prodotto da loro confezionato a una massa di acquirenti la più vasta
possibile" (Luciano Pellicani, «Società di massa», Enciclopedia
delle scienze sociali (1998), Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani).
Cerchiamo di non autodefinirci come creatori di prodotti
artificiali e venditori di cultura.
La promozione culturale gioca prima di tutto su un requisito,
la verità.
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