domenica 24 marzo 2013

Uno spiacevole dèjà vu: l'omino in piazza esalta la folla


Ogni giorno spero che sia il giorno giusto per guardare il foglio bianco di word, mentre con una mano mi aggrappo all’ennesima tazzina di caffè e con l’altra faccio zapping sui tg del mattino, e concludere che, no, oggi scriverò di quanto sia bello il mio paese, accogliente e unito nell’idea comune di fare meglio. Ma non è oggi il giorno giusto. La tazzina è al suo posto, i telecomandi anche e, a quanto pare, anche tutto il resto è al solito posto. Come in fondo mi aspettavo che fosse.

Non sono in grado nemmeno di indignarmi, perché indignazione qui fa rima con immobilità. Non inorridisco perché, come tutti, assuefatta al tono delle nuove annunciate dalle televisioni nazionali. E mi scopro anche incapace di razionalizzare e archiviare con una diagnosi di demenza senile, perché anche in questo caso non avrei centrato il punto.
Ormai non urge nemmeno più l’inserimento di un soggetto che regga la frase, perché il soggetto è sempre lì. Ce lo bombardano in faccia, nella tazzina del caffè e nel piatto della cena.

Tutti siamo informati del grande raduno avuto luogo ieri a Roma in Piazza del Popolo. Quasi presi per stanchezza assimiliamo l’evento e lo releghiamo nel cassetto delle cose che ci aspettavamo.
Provo ad archiviare anche io, ma non so tacere le mani che battono i tasti come per sputare fuori il veleno di immagini che hanno insozzato il risveglio.

Trovo ci sia qualcosa di vagamente familiare nelle modalità comunicative con cui quello che ormai si definisce ironicamente il partito delle libertà, per statuto e convinzione, ha infiammato gli animi di un popolino accorso mi chiedo se per credo, passione, fedeltà o mancanza di alternative.
La strumentalizzazione conosce molte vie, prima fra tutte la via della semantica. All’improvviso la storica romana Piazza del Popolo si trasforma per bocca di un omino incravattato e rimpinzato di olè e battimano in Piazza del Popolo delle Libertà. Che suonerebbe come positivo se le libertà fossero garantite anche nei fatti. Ma è solo un gioco di parole, un gioco pericoloso se si considera che a partorire questa fantasia lessicale sia stato un politico alla ricerca di consensi.
Ancora più allarmante il cartello sbandierato da un sostenitore che reca la scritta scarabocchiata in fretta (a quanto sembra) “Silvio salvaci tutti”. Apocalittiche richieste di aiuto per un paese che si è affidato al presunto salvatore negli ultimi 20 anni senza cavare fuori altro che declino e malcontento!!!
Si fa fatica a sorridere dinanzi ai deliri di onnipotenza e agli inganni comunicativi di chi sa di poter contare su una folla aggrappata all’esaltazione del momento, dimentica dei problemi che ha lasciato a casa per correre in piazza ad accogliere la sacra parola del profeta. Eh si, lui è come un profeta, consapevole come un profeta, lapidario come un profeta, dogmatico come un profeta, io trovo però che ci sia poco di profetico in quella sfilza di frasi ben mirate a sviolinare nella testa degli italiani una positività che non c’è, e un odio verso il diverso dal “noi” (di cui con leggerezza si riempie la bocca e i discorsi!) che è quanto di più lontano da quello di cui oggi il paese ha bisogno.
È la politica della disgregazione, dello smembramento a chi si accaparra la porzione più consistente di creduloni.
La parola d’ordine dell’intera manifestazione è stata libertà, una libertà che nelle parole dell’omino non è mai motivata. La libertà di cosa, o ancora peggio da cosa?
Si accusa di populismo chiunque ormai, è la moda della definizione densa che spezzi le gambe all’avversario. Ma non c’è populismo peggiore di quello a cui si ricorre per infondere nella massa un’idea inversa alla realtà, a uso e consumo dei propri obiettivi politici. E così via, giù a lodare l’Italia della buona volontà, del buon senso, l’Italia che produce, che crea, che ama, che ha fede e ottimismo, l’Italia che sorride alla crisi e “combatte la malinconia della crisi mondiale per mezzo dell’intelligenza e della logica della speranza”.
La crisi non si combatte con il sorriso, per quanto sia bello pensarlo possibile. Non si combatte nemmeno imbottendosi di un ottimismo fine a se stesso. Non so come si combatte la crisi, ma so che invasare il popolo con il concetto di libertà equivale a nascondere sotto il tappeto il vero punto della questione.
La strumentalizzazione dei concetti di amore e libertà così come l’ironia spicciola e poco velata nei confronti di quelli che l’omino considera ormai avversari in politica e nella vita si radica nella strategia del “fare numero”. Da sempre la storia dimostra che il numero ha dalla sua il vantaggio di essere una forza, ma corre anche il rischio di asservire la sua forza al progetto di un unico uomo.
Non c’è un senso deviato nell’essere realisti.
Il mio realismo oggi mi fa riaprire i libri di storia perché di uomini nuovi ne abbiamo avuti tanti e, chissà come, si somigliano tutti.

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