Ogni giorno spero che sia il giorno giusto per
guardare il foglio bianco di word, mentre con una mano mi aggrappo all’ennesima
tazzina di caffè e con l’altra faccio zapping sui tg del mattino, e concludere
che, no, oggi scriverò di quanto sia bello il mio paese, accogliente e unito
nell’idea comune di fare meglio. Ma non è oggi il giorno giusto. La tazzina è
al suo posto, i telecomandi anche e, a quanto pare, anche tutto il resto è al
solito posto. Come in fondo mi aspettavo che fosse.
Non sono in grado nemmeno di indignarmi, perché indignazione
qui fa rima con immobilità. Non inorridisco perché, come tutti, assuefatta al
tono delle nuove annunciate dalle televisioni nazionali. E mi scopro anche
incapace di razionalizzare e archiviare con una diagnosi di demenza senile, perché
anche in questo caso non avrei centrato il punto.
Ormai non urge nemmeno più l’inserimento di un
soggetto che regga la frase, perché il soggetto è sempre lì. Ce lo bombardano
in faccia, nella tazzina del caffè e nel piatto della cena.
Tutti siamo informati del grande raduno avuto luogo
ieri a Roma in Piazza del Popolo. Quasi presi per stanchezza assimiliamo l’evento
e lo releghiamo nel cassetto delle cose che ci aspettavamo.
Provo ad archiviare anche io, ma non so tacere le mani
che battono i tasti come per sputare fuori il veleno di immagini che hanno
insozzato il risveglio.
Trovo ci sia qualcosa di vagamente familiare nelle
modalità comunicative con cui quello che ormai si definisce ironicamente il
partito delle libertà, per statuto e convinzione, ha infiammato gli animi di un
popolino accorso mi chiedo se per credo, passione, fedeltà o mancanza di
alternative.
La strumentalizzazione conosce molte vie, prima fra
tutte la via della semantica. All’improvviso la storica romana Piazza del
Popolo si trasforma per bocca di un omino incravattato e rimpinzato di olè e
battimano in Piazza del Popolo delle Libertà. Che suonerebbe come positivo se
le libertà fossero garantite anche nei fatti. Ma è solo un gioco di parole, un
gioco pericoloso se si considera che a partorire questa fantasia lessicale sia
stato un politico alla ricerca di consensi.
Ancora più allarmante il cartello sbandierato da un
sostenitore che reca la scritta scarabocchiata in fretta (a quanto sembra) “Silvio
salvaci tutti”. Apocalittiche richieste di aiuto per un paese che si è affidato
al presunto salvatore negli ultimi 20 anni senza cavare fuori altro che declino
e malcontento!!!
Si fa fatica a sorridere dinanzi ai deliri di onnipotenza
e agli inganni comunicativi di chi sa di poter contare su una folla aggrappata
all’esaltazione del momento, dimentica dei problemi che ha lasciato a casa per
correre in piazza ad accogliere la sacra parola del profeta. Eh si, lui è come
un profeta, consapevole come un profeta, lapidario come un profeta, dogmatico
come un profeta, io trovo però che ci sia poco di profetico in quella sfilza di
frasi ben mirate a sviolinare nella testa degli italiani una positività che non
c’è, e un odio verso il diverso dal “noi” (di cui con leggerezza si riempie la
bocca e i discorsi!) che è quanto di più lontano da quello di cui oggi il paese
ha bisogno.
È la politica della disgregazione, dello smembramento
a chi si accaparra la porzione più consistente di creduloni.
La parola d’ordine dell’intera manifestazione è stata
libertà, una libertà che nelle parole dell’omino non è mai motivata. La libertà
di cosa, o ancora peggio da cosa?
Si accusa di populismo chiunque ormai, è la moda della
definizione densa che spezzi le gambe all’avversario. Ma non c’è populismo
peggiore di quello a cui si ricorre per infondere nella massa un’idea inversa
alla realtà, a uso e consumo dei propri obiettivi politici. E così via, giù a
lodare l’Italia della buona volontà, del buon senso, l’Italia che produce, che
crea, che ama, che ha fede e ottimismo, l’Italia che sorride alla crisi e “combatte
la malinconia della crisi mondiale per mezzo dell’intelligenza e della logica
della speranza”.
La crisi non si combatte con il sorriso, per quanto
sia bello pensarlo possibile. Non si combatte nemmeno imbottendosi di un
ottimismo fine a se stesso. Non so come si combatte la crisi, ma so che
invasare il popolo con il concetto di libertà equivale a nascondere sotto il
tappeto il vero punto della questione.
La strumentalizzazione dei concetti di amore e libertà
così come l’ironia spicciola e poco velata nei confronti di quelli che l’omino
considera ormai avversari in politica e nella vita si radica nella strategia
del “fare numero”. Da sempre la storia dimostra che il numero ha dalla sua il
vantaggio di essere una forza, ma corre anche il rischio di asservire la sua
forza al progetto di un unico uomo.
Non c’è un senso deviato nell’essere realisti.
Il mio realismo oggi mi fa riaprire i libri di storia perché
di uomini nuovi ne abbiamo avuti tanti e, chissà come, si somigliano tutti.
Nessun commento:
Posta un commento