mercoledì 6 marzo 2013

L'informazione siamo noi



Vediamo al tg due o tre ragazze, anche abbastanza carine, a seno nudo che manifestano contro Berlusconi all’ingresso al seggio il 24 febbraio e non ce ne meravigliamo. La protesta, soprattutto quando utilizza il corpo, approda su carta stampata e telegiornali come notizia bomba da audience voyeuristica e commento facile con risatina scandalizzata annessa.
Trovo più ovvio scandalizzarsi per quanto la manipolazione dell’informazione fa tutti i giorni, sotto i nostri occhi. Sembriamo lobotomizzati quando accendiamo il televisore e ci predisponiamo all’ascolto di notizie che accogliamo come si fa con acqua miracolosa dalla fonte. La ritualità dell’informazione propinata a getto continuo mentre mangiamo, cuciniamo, sgridiamo nostro figlio e facciamo il bucato ha del ridicolo, se si considera che l’abitudine all’informazione dovrebbe in teoria essere una buona abitudine a mettersi in discussione attraverso i canali che fanno informazione. Al contrario, ci affidiamo alla notizia breve, mozzicata e approssimata che in fondo ci fa anche comodo se consideriamo che anche l’informazione è diventata intrattenimento ad orari da palinsesto.
Il corpo nudo ha la giusta ragione di essere se lo scopo è quello di aguzzare l’interesse e farsi veicolo di messaggi che vanno oltre il paio di tette sbattute in prima pagina. Ma sbiadisce al palato dell’ascoltatore italiano che è satollo di tette e culi e che ha maturato un’assuefazione allo scandalistico tanto da non far caso più a chi quelle tette appartengano.
E dunque tre belle ragazze a seno nudo che si scagliano urlanti contro Berlusconi rimangono tre belle ragazze nude che alimentano l’attenzione nei confronti di un personaggio da fumetto (ormai!). E il bombardamento mediatico conta le vittime di coloro che più che i seni nudi hanno fatto caso al sorrisetto demenziale dell’ex premier di plastica, l’uomo dei miracoli, il fantoccio di carta che accostato a un paio di belle fighe fa più audience del super bowl.
Questa è l’informazione, ma non quella che ci propinano, ma quella di cui ci facciamo portatori involontari, antenne di risonanza manovrate attraverso l’attitudine alla fiducia verso quello che la televisione ha detto. Sacro graal della modernità: “lo hanno detto in tv” mentre l’informazione approfondita, il confronto delle fonti, il semplice interessamento personale finiscono per essere relegati allo status di complottistiche tendenze alla manipolazione. Come se dire la verità in televisione sia un reato, contestualizzare un crimine e sdoganare la tendenza al voyeurismo un peccato imperdonabile.
E per tornare alle donnine a seno nudo, avrebbero forse perso di fascino se si fosse detto che dietro i loro seni nudi c’è un vasto e consolidato movimento femminile (termine che preferisco all’abusato “femminista”, più consono anche se si considera che il movimento è partito come rivendicazione dei diritti della donna ma conta sostenitori anche tra gli uomini) nato in Ucraina nel 2008 con il nome Femen, attivo tutti i giorni e in tutto il mondo per la rivendicazione dei più basilari diritti dell’uomo e della donna?
Certamente sarebbe stato meno produttivo nel giorno delle elezioni spostare l’attenzione su una massa di invasate che si spogliano per farsi ascoltare quando invece l’ex premier dei miei stivali era di nuovo protagonista di contestazioni utili a consacrarlo nel pantheon dei perseguitati.
Io preferisco che l’informazione sia gestita da teste pensanti che non guardano a logiche di visibilità ma che strumentalizzino, sì, i canali per diffondere voci che solo attraverso la velocità dei media possono attecchire. L’informazione non è selezione, né intrattenimento da poltrona comoda e cocktail. È faticosa, irriverente, irrispettosa, dirompente. E, quando ci si indigna dinanzi a testate palesemente di parte, forse bisognerebbe un attimo interrogarsi su cosa significhi essere di parte in un paese come il nostro che forse ha più bisogno di chi possa prendere le parti della notizia insabbiata, più che del giornalista che si affanni nella corsa per sfamare il lettore o l’ascoltatore ghiotto di gossip.
Così sono stati allevati manipoli di lettori accaniti, super informati che in  men che non si dica si sentono offesi, quasi schiaffeggiati da notizie che ritengono sentenziose, superficiali e frettolose, quando invece i frettolosi sono loro che si annoiano dinanzi a notizie che non solleticano il loro interesse allo svago da prima pagina.
L’informazione è libera, ma questo significa che bisognerebbe sentirsi liberi nel farla e che venga concessa libertà a chi vuole fare informazione liberamente, la libertà dal giudizio di chi sale in cattedra perché crede di sapere su cosa dobbiamo venire informati e  cosa sia meglio non dire per non apparire sentenziosi. L’informazione è sentenziosa. Altrimenti che altro modo ci sarebbe di instillare il dubbio e stimolare all’approfondimento?

Io oggi mi indigno dell’attitudine del mio paese a chiudersi a riccio in un tipo di informazione che mi fa tremare le gambe per quanto essa appaia manipolatrice. La disgregazione delle masse nasce anche da questo: gli italiani non sanno fare il popolo. E il popolo non si beve tutto quello che gli si dice, ma si riunisce nelle piazze e trova il modo di utilizzare la globalizzazione a suo vantaggio, uniformando la protesta e aggregandosi ai movimenti esteri che nascono dal popolo, da persone comuni che hanno trovato il coraggio di alzare la voce e fare informazione attraverso se stessi. Quando l’informazione è un modo di dissentire è possibile anche che diventi anche una buona alternativa alla pappina mediatica che ci costringono ad inghiottire tutti i giorni.

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