venerdì 1 marzo 2013

Il lavoro nobilita l'uomo. Che qualcuno dica cosa nobilita il disoccupato.



Ciondolando per casa, afferro il giornale di annunci accatastato su tutti gli altri arrivati per posta, e mi metto a curiosare nella sezione OFFRO LAVORO, solo due annunci, tra l’altro gli stessi del mese scorso e del mese prima. Subito dopo la sezione CERCO LAVORO e mi accorgo che non ci sono pochi annunci, ma addirittura quattro o cinque pagine in cui gli annunci sono suddivisi per tipologia di qualifica.
Sulle prime resto un po’ allibita della quantità di pensionati 60enne che si offrono come tutto fare, colf, badanti e volantinasti. Poi arrivo ad un annuncio che mi incolla alla pagina: 22enne volenteroso offresi per qualsiasi attività, purché onesta e dignitosa.
Non serve che io commenti, né che tenti di spiegare cosa ho provato poi, quando anche un po’ alienata dalla corsa all’ultimo impiego, quello che gli altri non vogliono, testimoniata da quel giornale, ho deciso di fumarmi una sigaretta (di tabacco, perché quelle in pacchetto non posso più permettermele da un anno!) e andare sul balcone per godermi il raro spiraglio di sole delle due del pomeriggio. Stavo chiacchierando con il mio fidanzato e osservavamo quanti fenomeni nuovi sono nati nell’era della crisi, come per esempio l’affollamento delle file dei disoccupati pensionati alla ricerca forsennata di un lavoro, quando notiamo un uomo di mezza età, a piedi alle prese con un mazzetto di volantini del Conad. Diligentemente e senza imbrogliare ne ha messo uno in ogni apposita cassetta. E a quel punto non ho avuto altro da dire.
A costo di sembrare ripetitiva, ogni giorno rappresenta una consapevolezza in più. Quasi fa capolino un senso di colpa per il sentimento di abbattimento che colpisce me, che sono molto più giovane dell’uomo dei volantini e che non ho una famiglia da mantenere. Vedo e sento storie di famiglie che si sgretolano e poi penso a quanto sforzo fa il governo per darci la visione della crisi e allo stesso tempo ridimensionarla a favore di una ricezione che non sfoci nel panico. Ma è diventata una questione di sopravvivenza.
Il divario tra ciò a cui ambiamo e ciò che possiamo ottenere ha raggiunto dimensioni incalcolabili. E mentre io rimpiango (ma solo spinta dalla contingenza!) le rate che ho versato all’università pubblica per i miei studi e cerco di conservare la fiducia nelle mie capacità, mi vedo sfilare accanto l’esercito lacero dei pensionati, dei padri di famiglia disoccupati e delle donne sole. Il lavoro nobilita l’uomo, si dice, ma questo non spiega come mai, per nobilitarsi, occorra vendersi per qualsiasi attività e a qualsiasi costo, serva supplicare un qualsiasi tipo di mansione purché dignitosa. Il lavoro è dignitoso sempre. Non è dignitoso elemosinarlo, però. E noi tutti lo stiamo elemosinando.
Se fino ad un paio di anni fa le questioni urgenti della politica del paese riguardavano i giovani, le donne e il Mezzogiorno, oggi possiamo dirci tutti interessati, senza distinzione di età, sesso o provenienza.
Il caro vecchio paese del mandolino, spaghetti, pizza e ombrellone in spiaggia ha finito per incartapecorirsi in una malconcia versione di se stesso. Fa fatica a tenersi insieme e baratta solo contentini in cambio di promesse a cui la gente ha bisogno di credere. Le televisioni accese, l’ultimo show insulso in prima serata e ti addolciscono anche la cena. Buonanotte agli italiani con “domani è un altro giorno”, mentre rigirandosi sul cuscino, il pensionato, il laureato, il padre di famiglia e il ricercatore senza fondi si dice “speriamo sia solo un giorno buono”.

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