domenica 24 febbraio 2013

Bugie da traffichini: psychological subjugation planners



La storia si allunga sotto i nostri piedi ed essere uomini del presente ci priva inevitabilmente di quello sguardo critico che, se crediamo di avere, è solo perché ci costringiamo o ci sentiamo costretti a giudicare. Siamo direttamente coinvolti, come non potremmo?
Ci hanno insegnato a guardare alla storia dai libri di scuola e, si sa, sui libri di storia, di baggianate ne hanno scritte per addomesticare, contenere, indirizzare menti ancora labili, coppe vuote che hanno cercato di riempire con questa cultura iperselezionata che, diciamocelo, non è mai servita a nessuno e a niente, se non a distorcere il nostro sguardo sul mondo.
È come se volessero raccontare la nostra storia dandola a bere a noi, che la storia l’abbiamo fatta. Noi, uomini e donne, relegati in luoghi comuni, immagini topiche e false interpretazioni volutamente filtrate.
Nell’era della comunicazione globale, avvezzi alla  gioia facile della rapida informazione, ci siamo ammalati di un morbo inestirpabile: la pigrizia. La pigrizia ci ha resi fiduciosi verso tutto quello che ci propinano come se si trattasse di concessioni provenienti da un “alto” che non possiamo neanche lontanamente provare a mettere in discussione. Ma hanno provveduto anche a questo: distorcere le basilari nozioni di bene e male, alto e basso, accessibile e non. La nascita di uno stato civile ha coinvolto la irreversibile creazione di una rigida gerarchia che, se nelle favole più ottimistiche e democratiche si configura nella sua possibilità di essere scalata, nella pratica è solo un labirinto infernale che distribuisce dei ruoli e più che false speranze come contentini non fornisce. È una macchina infernale che ti tiene giù se sei in fondo e ti fa girare la testa se sei in alto, facendoti persino dimenticare quel vivere civile per cui l’uomo ha voluto organizzarsi in compartimenti stagni. Per non parlare di quel concetto così bistrattato di popolo, quella che dovrebbe essere un’entità concreta  si è trasformata nella sua idealizzazione astratta, un’idea che nobilita gli articoli costituzionali  e purifica le parole di qualche politico attento alle forme. Ma il popolo dov’è, cos’è? È forse quella massa di persone abituate a lottare per ottenere orari ridotti in fabbrica, l’abbassamento del prezzo del pane, o meno tagli nelle scuole? Eccola un’altra bugia confezionata sul luogo comune: il popolo che lotta, il popolo che si ribella, il popolo che va tenuto a bada. Il divario fra ciò di cui necessitiamo e la speranza di averlo passa per le piazze, attraverso le fabbriche occupate, nel portafogli (vuoto) del precario, negli occhi di chi ha studiato 10 anni e si sente rifiutato ovunque vada a cercare lavoro. La distanza fra ciò di cui abbiamo bisogno e la possibilità di averlo passa attraverso i conti sballati di stati che hanno sempre più l’aspetto di aziende private alla mercé di un dirigente senza scrupolo, passa nei sogni di gloria di pochi faccendieri senza morale, passa attraverso il perverso meccanismo per cui “la storia ritorna”. Ebbene si, ogni epoca ha il suo folle megalomane che guarda nelle tasche degli altri e poi nelle sue, che se si trattasse solo di un mero fatto economico ci si potrebbe sforzare di capire. Quello che spaventa più di tutto è la maligna, assolutamente patologica e paradossalmente prevedibile tendenza al soggiogamento, soprattutto psicologico, che fa di un uomo come un altro il pericolo di un popolo intero.
I facili confronti non hanno mai giovato a nessuno ma certi sapori non si dimenticano, ciò che si è affinata  è la tecnica: il controllo delle masse attraverso infimi giochetti con cui intrattenerla. Una volta avviato il meccanismo il grosso è fatto, ci sono catene dure a spezzarsi.

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