La storia si allunga sotto i nostri piedi ed
essere uomini del presente ci priva inevitabilmente di quello sguardo critico
che, se crediamo di avere, è solo perché ci costringiamo o ci sentiamo costretti
a giudicare. Siamo direttamente coinvolti, come non potremmo?
Ci hanno insegnato a guardare alla storia dai
libri di scuola e, si sa, sui libri di storia, di baggianate ne hanno scritte
per addomesticare, contenere, indirizzare menti ancora labili, coppe vuote che
hanno cercato di riempire con questa cultura iperselezionata che, diciamocelo,
non è mai servita a nessuno e a niente, se non a distorcere il nostro sguardo
sul mondo.
È come se volessero raccontare la nostra storia dandola a bere a noi, che la storia l’abbiamo fatta. Noi, uomini e donne, relegati in luoghi comuni, immagini topiche e false interpretazioni volutamente filtrate.
È come se volessero raccontare la nostra storia dandola a bere a noi, che la storia l’abbiamo fatta. Noi, uomini e donne, relegati in luoghi comuni, immagini topiche e false interpretazioni volutamente filtrate.
Nell’era della comunicazione globale, avvezzi
alla gioia facile della rapida
informazione, ci siamo ammalati di un morbo inestirpabile: la pigrizia. La
pigrizia ci ha resi fiduciosi verso tutto quello che ci propinano come se si
trattasse di concessioni provenienti da un “alto” che non possiamo neanche
lontanamente provare a mettere in discussione. Ma hanno provveduto anche a
questo: distorcere le basilari nozioni di bene e male, alto e basso,
accessibile e non. La nascita di uno stato civile ha coinvolto la irreversibile
creazione di una rigida gerarchia che, se nelle favole più ottimistiche e
democratiche si configura nella sua possibilità di essere scalata, nella
pratica è solo un labirinto infernale che distribuisce dei ruoli e più che
false speranze come contentini non fornisce. È una macchina infernale che ti
tiene giù se sei in fondo e ti fa girare la testa se sei in alto, facendoti
persino dimenticare quel vivere civile per cui l’uomo ha voluto organizzarsi in
compartimenti stagni. Per non parlare di quel concetto così bistrattato di
popolo, quella che dovrebbe essere un’entità concreta si è trasformata nella sua idealizzazione
astratta, un’idea che nobilita gli articoli costituzionali e purifica le parole di qualche politico
attento alle forme. Ma il popolo dov’è, cos’è? È forse quella massa di persone
abituate a lottare per ottenere orari ridotti in fabbrica, l’abbassamento del
prezzo del pane, o meno tagli nelle scuole? Eccola un’altra bugia confezionata
sul luogo comune: il popolo che lotta, il popolo che si ribella, il popolo che
va tenuto a bada. Il divario fra ciò di cui necessitiamo e la speranza di averlo
passa per le piazze, attraverso le fabbriche occupate, nel portafogli (vuoto)
del precario, negli occhi di chi ha studiato 10 anni e si sente rifiutato
ovunque vada a cercare lavoro. La distanza fra ciò di cui abbiamo bisogno e la
possibilità di averlo passa attraverso i conti sballati di stati che hanno
sempre più l’aspetto di aziende private alla mercé di un dirigente senza
scrupolo, passa nei sogni di gloria di pochi faccendieri senza morale, passa
attraverso il perverso meccanismo per cui “la storia ritorna”. Ebbene si, ogni
epoca ha il suo folle megalomane che guarda nelle tasche degli altri e poi
nelle sue, che se si trattasse solo di un mero fatto economico ci si potrebbe
sforzare di capire. Quello che spaventa più di tutto è la maligna, assolutamente
patologica e paradossalmente prevedibile tendenza al soggiogamento, soprattutto
psicologico, che fa di un uomo come un altro il pericolo di un popolo intero.
I facili confronti non hanno mai giovato a
nessuno ma certi sapori non si dimenticano, ciò che si è affinata è la tecnica: il controllo delle masse
attraverso infimi giochetti con cui intrattenerla. Una volta avviato il
meccanismo il grosso è fatto, ci sono catene dure a spezzarsi.
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