venerdì 22 febbraio 2013

LA RI-FORMA DI UNA EX STUDENTESSA UNIVERSITARIA



Essere stata una studentessa universitaria per così tanto tempo e rendermene conto con tale lucidità mi atterrisce. Mentre lo ero mi faceva piacere avere un alibi perfetto per rimandare ancora di poco il momento atroce dell’ennesima porta sbattuta in faccia. Non che io stia qui a contarmi i capelli bianchi ma neanche la raccolta punti a cui ci hanno costretti mi incute grande soddisfazione. E al posto di un po’ di saggezza, ho tra le mani un elenco interminabile di esami con relativi cfu. I cfu: come se la storia greca, per esempio, o la storia del teatro del 900 possa quantificarsi in punti da collezionare gelosamente! E allora mi accorgo che è diventata davvero una corsa forsennata verso piani di studio improponibili nel miraggio della forma mentis ideale. Ma ideale per chi, per cosa??
Ho sempre avuto la presunzione, se di presunzione si può parlare, di scegliermi con accuratezza la forma ideale per me. Ammesso, poi, che sia una forma quella di cui abbiamo davvero bisogno. E nei sogni pre-adolescenziali mi figuravo la mia futura vita accademica come una passeggiata faticosa e fascinosa, come un bellissimo fermento di idee che mi avrebbe avvolta. Invece sono incappata nel ministro confuso e inciampata nella riforma avventata e mi ci sono dovuta adeguare. Ma se possono plasmare come argilla la mia carriera accademica, per fortuna, un po’ di resistenza al modellamento dei cervelli è ancora possibile. E io il mio cervello continuo a proteggerlo forsennatamente, come in una ridicola lotta per la sopravvivenza. Eh si, perché poi, dopo lodi e riconoscimenti, è lui che, quando sono sola nel silenzio, si ribella e si dimena se si è sentito violentato. È come se mi intimasse di preservare un minimo di autonomia da quel famoso, agognato e inconsistente concetto di forma entro cui, a calci, mi vogliono murare.
Io le forme non le ho mai amate e questo mi è valso sin da subito il titolo di ragazzina ribelle. Un bel luogo comune da cui proprio non puoi scappare. Ma ad un certo punto smetti di essere ragazzina e la forma ti piace ancora meno e forse diventa abbastanza chiaro che non si trattava di una presa di posizione ma di una vera e propria allergia.
Filtrati fronzoli e atteggiamenti, ce ne torniamo a casa sempre e comunque con noi stessi ed è sempre con noi stessi che dobbiamo fare i conti. Allora, forse, la cosa più saggia da fare è un bel patto, sincero e spassionato, con il proprio cervello. Io me lo porto a spasso fra gimcane ben tracciate di progetti finto qualificanti e lui, in cambio, si impegna a rimanere sempre fedele alla sua funzione biologica: stimolare l’involucro ad essere vigile alle costrizioni. Folle fare un patto con la materia grigia che pulsa dentro i nostri cranietti, lo so, ma in qualche modo è proprio lì che si annidano i tasselli della diversità, è lì che si va a rifugiare il vero senso di noi stessi. E se da lì sgattaiola fino al cuore, è sempre da lì che parte.
E per tornare alle forme, le detesto per il loro estremo tentativo di incanalare qualcosa che magari nasce per essere libero. E la libertà si stiracchia proprio sull’idea che sembrava più inadeguata. Ed è grazie a quell’idea che hanno timbrato con la sigla inadeguata che innalziamo il manifesto di noi stessi. Perché se non portiamo avanti la diversità che ci contraddistingue chi ci penserà a presentarci al mondo? La raccolta punti accademica che abbiamo in doppione con un altro milione di persone?!!

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