Alla vigilia
delle elezioni si fa sempre un gran dire. Le masse si dividono. Si creano
coalizioni di fiduciosi, sfiduciati, rivoluzionari dell’ultima ora e di improbabili
esperti in cambiamenti sociali.
Ma queste
elezioni hanno un sapore diverso, hanno il sapore della farsa e hanno anche il
sapore di “si salvi chi può”; per molti, certo avranno il sapore del
cambiamento possibile, ma per me che non faccio politica e che rappresento l’individuo
medio appartenente al popolo, per intenderci un campione rappresentativo della
mia generazione, queste elezioni mi suonano un po’ come una fiera di paese. Solo
che nel caso specifico questo paese è l’Italia e la fiera non ospiterà il tiro
a segno o la baracca in cui devi buttare giù i barattoli con delle palle di
pezza. Il sentimento generale però, è un po’ questo, come se si dovesse tentare
di centrare il bersaglio alla cieca e tutti si affannano a darsi suggerimenti
sulla giusta angolazione per ottenere il risultato più accettabile o andarci
almeno vicini.
C’è
una grande confusione, un gran rumore, tanto parlare. E diciamolo, siamo
affezionati al tradizionale stile pre-elezioni che prevede confronti all’ultimo
insulto nelle tribune politiche, promesse da paese dei balocchi, e chi la dice
più grossa si aggiudica una settimana di titoli in prima pagina e
approfondimenti in seconda serata da Bruno Vespa! È proprio l’atmosfera
concitata che ci coinvolge e ci fornisce un buon argomento di conversazione con
l’edicolante mentre compriamo il cruciverba e al bar per riempire il silenzio
mentre il barista ci prepara il cappuccino. Poi ce ne torniamo in ufficio,
intavoliamo una conversazione prendendo spunto dall’ultima barzelletta sui
politici sentita in tv la sera prima tra un morso al panino e uno sguardo al
risultato della partita in programmazione, e anche qui diciamo la nostra.
Mentre la politica continuano a farla i politici, ma non quelli veri, ammesso
che ce ne sia rimasto qualcuno, e a noi non rimane che dire la nostra al
fruttivendolo di fiducia di sfuggita mentre paghiamo il conto e alla
parrucchiera, tra un pettegolezzo e un aggiornamento sul gossip.
E poi
il conto alla rovescia per la giornata inaugurale e che gran confusione!
Vorremo
andare più a fondo nel problema. Ma non c’è un problema unico e quello più
grande ci riguarda da vicino: siamo compratori appetibili a cui stanno
illustrando la mercanzia e i mercanti, si sa, sono maestri dell’inganno. E con
il sorriso smagliante sulla faccia e la coscienza pulita dalla convinzione che
il fine giustifica i mezzi, fanno capriole e giravolte e, voilà, lo spettacolo
comincia.
Nel frattempo,
mentre esibiscono l’ultima trovata, un po’ per caso un po’ per fortuna i pesci
abboccano all’amo senza aver nemmeno capito cosa hanno comprato. Come il gioco
delle tre carte: una carta alla fine del gioco la devi scegliere, e chissà come
mai sotto c’è sempre una sorpresa. È la fiera del compromesso. La fiera del ce
l’ho più lungo io. La fiera di paese.
Però,
dietro a tutto questo gran esibirsi mi sembra che si nascondi una parolina che
tutti pensano e nessuno osa pronunciare: l’indottrinamento. Eh, che parolone! Certo,
che parolone, un bel parolone importante che condensa un significato semplice
semplice. Testualmente:
INDOTTRINARE ‹in·dot·tri·nà·re› v.tr.
sottoporre a un continuo martellamento ideologico.
L’uomo ha sempre
cercato di indottrinare l’uomo. E allo stesso modo l’uomo ha sempre cercato di resistere all’indottrinamento.
A questo giro la
parola resistenza per me fa rima con la parola astensione. Io mi astengo e
decido di farlo senza calcoli trasversali e matematici. Non riesco a farmi
indottrinare, né persuadere.
È rimasto il concetto
di dovere (è un dovere votare!!!) a piegare gli indecisi e convincerli dell’indispensabilità
del proprio ruolo. Ma è un dovere scegliere bene e quando non lo si può fare, resta il dovere di
preservarsi dai compromessi. Perché scegliere il meno peggio non è dignitoso. E
non è nemmeno dignitoso giocare a fare tentativi, perché ogni tentativo costa
caro. È più dignitoso spiegare all’anziano che non gli rimborsano l’IMU se
porta alle poste italiane la letterina ridicola che ha ricevuto a casa. È più
dignitoso dire la verità anche se la verità non ci piace, e ammettere che
nessuno può comprare la nostra fiducia. E che il paese si regge sul paese e
questa responsabilità ce l’abbiamo noi, anche se ci sembra troppo faticosa.
Non stiamo
partecipando ad uno show televisivo a premi, anche perché la vincita in palio
non ha davvero niente di allettante: solo un altro capitano di nave con la
passione per la prestidigitazione.
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