Non appena ho letto questa
notizia ho subito pensato al libro di James Canon “Storia dalla città delle
vedove e cronache dalla terra degli uomini” ma anche a “Gli Uomini vengono da
Marte, le Donne da Venere di John Grey”.
Si tratta di Noiva do Cordeiro,
una piccola comunità brasiliana popolata da sole donne, 600 per l’esattezza, quasi
tutte tra 20 e 35 anni, con la piccola eccezione maschile di qualche marito e
parente.
Il paese fu fondato nel lontano
1890 quando Maria Senhorinha de Lima fu
scomunicata dalla Chiesa colpevole del reato di adulterio nei confronti di un
marito che era stata costretta a sposare. Moltissime furono le donne che la
raggiunsero nel corso degli anni spinte dal desiderio di vivere in un ambiente
totalmente femminile. Negli anni 40 il pastore evangelico Anisio Pereira prese
in moglie una 16enne del posto, costruì una chiesa e impose nuovamente regole
rigide alla vita della comunità, tra cui il divieto di bere, di tagliarsi i
capelli e ascoltare musica. Alla sua morte, nel 1995, le donne decisero che mai
più un uomo avrebbe dettato legge nella loro società ai confini del mondo.
Su tutti i tabloid internazionali
Noiva do Cordeiro fa cronaca e scalpore per l’appello che le donne hanno deciso
di lanciare oggi, nel 2014: cercano un marito, ma qualcuno che acconsenta a
vivere in un mondo tutto femminile e a sottostare a regole costruite da donne.
Nemmeno la storia di Noiva do
Cordeiro smussa lo sguardo tutto maschile che siamo abituati a vedere riflesso
nel campo dell’informazione. E se il Brasile ci sembra lontano, non è molto
lontano da noi l’immagine di un gruppo di donne che sceglie di vivere seguendo
le proprie regole, dedite ad una sorta di post-femminismo che però si mette in
discussione. 600 donne brasiliane single lanciano un appello cedendo
all’ammissione dei loro desideri, di matrimonio, molto probabilmente di
maternità, perseguendo l’ideale di una comunità al femminile in cui vigono
principi disegnati da menti femminili. Non c’è alcun sottotesto sessuale, né invito
ad un mondo di piacere, lussuria e sregolatezza in un appello che sa solo di
provocazione, come le centinaia che le donne sono state maestre a lanciare
negli ultimi cento anni.
Immagino il solletico che questa
notizia abbia fatto alle menti di molti uomini, abituati a guardare fin dove il
desiderio arriva e l’immaginazione si sfrena. 600 bellissime donne emancipate
che non nascondono il loro corpo. L’universo immaginativo maschile incontra
ostacoli difficili da sradicare. Il femminismo o il femminile(sarebbe meglio
dire), a tutti i costi, non è solo quello dei reggiseni bruciati negli anni 70,
o nelle gonnone delle suffragette raffigurate in vecchie foto sbiadite di
inizio secolo.
Questo è quello che qualche volta resta, la consapevolezza che
le battaglie vinte non sono un punto finale e che se ancora un mondo intero è
pronto a sbavare su un gruppo di donne emancipate che si impongono regole a cui
non consentono incursioni di tipo maschile allora forse molte Noiva do Cordeiro
servirebbero, se non fosse altro per dimostrare che esiste un modo di essere
emancipate senza esserlo a metà, e che il femminismo non è morto negli ultimi
piani dei grattacieli negli uffici di dirigenti d’azienda donne, nelle mani di
primari donne o primi ministri donne, nella legge a favore del’aborto o in
quella che consente il divorzio.
Il femminismo resiste anche
quando si apre all’ammissione della necessità di un uomo nella propria vita.
Che se da millenni le comunità le hanno rette gli uomini, senza meraviglia e
sorpresa di nessuno, è possibile anche che un’intera comunità sia retta nel XXI
sec. da un gruppo di donne che decide, come è uso da 100 anni in quello stesso
posto, che le regole le fanno le donne. Il femminismo ripulito dall’estremismo
dell’odio verso l’universo maschile è quanto di più augurabile per una
rivoluzione dei ruoli che sia radicale e moderna.
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