Sono così tante
le storie che riguardano Chrysaora che alcune, se non provvedesse lei a
ricordarmele potrei anche dimenticarle.
Io e lei abbiamo
fatto insieme anche il salto nella vita adulta e, dopo un’estate, quella dopo
il diploma, trascorsa a tormentarci in dubbi amletici sul futuro, che se
avessimo saputo che sarebbe finita come è finita avremmo impiegato meglio il
nostro tempo, abbiamo deciso di prendere casa insieme per frequentare l’università.
Mio padre era
contrario alla mia decisione di trasferirmi, dubbioso come sono un po’ tutti i
genitori quando la propria figlia decide di lasciare il tetto famigliare. Io
invece ero decisa ad andare via, ancora più solleticata dall’idea di andare via
con la mia amica Chrysaora.
Prendemmo il
treno e andammo a cercarci una stanza, ottimiste e propositive e, dopo un paio
di visite in topaie che ci proponevano come case ideali, prendemmo appuntamento
per una casa in centro. Non ci sembrava vero: dall’altro lato del telefono il
proprietario di casa si era reso disponibile a farcela vedere subito, spinto
anche forse dall’urgenza di affittarla. E noi, dalla nostra avevamo l’urgenza
di trovare un posto letto, perché di lì ad un mese avremmo dovuto cominciare a
frequentare i corsi. Arrivammo nella via che ci aveva indicato telefonicamente
e ci trovammo di fronte un uomo dall’aspetto raccapricciante, con lunghi peli
che venivano fuori dalle orecchie e dai polsini della camicia, e con grosse
chiazze di sudore che sbiadivano il contorno delle ascelle e le pieghe in
corrispondenza della pancia pronunciata.
Noi, sulle
nostre, anche un po’ intimorite dalla fregatura dietro l’angolo, lo seguimmo su
per le scale. Al primo piano di un palazzo d’epoca in pieno centro, aprì con le
chiavi una piccola porta di legno che dava su un corridoio in cui a stento ci
si stava in due.
Ci sembrava troppo
bello per essere vero, il prezzo era sostenibile, la posizione perfetta e le
condizioni accettabili. La prendemmo. E quello fu l’inizio della convivenza mia
e di Chrysaora.
Il proprietario
di casa imparammo a gestirlo, e a gestire l’istinto di non guardarlo in faccia né
fissargli le mani quando veniva a prendere l’affitto e finalmente eravamo
autonome.
Da quel momento
in poi accaddero tutta una serie di avventure più o meno comiche che ebbero
Chrysaora come protagonista, è ovvio, e per non farci mancare proprio niente,
venimmo accolte in quella nuova città a braccia aperte. O meglio Chrysaora
venne accolta a braccia aperte, le braccia di uno scippatore anche un po’
imbranato, il primo lunedì accademico!
La domenica sera
eravamo andate a dormire un po’ eccitate all’idea che il giorno dopo lei
avrebbe cominciato la sua nuova vita universitaria. Il lunedì mattina arrivò a
svegliarla con uno di quei diluvi che scoraggiano anche i più temerari. A ciò
si aggiunse che lei avrebbe dovuto prendere un autobus e avrebbe dovuto cercare
la fermata, il numero e capire come muoversi. Questo non la dissuase.
Borbottando e facendosi scappare anche qualche parolaccia, che a prima mattina
fa sempre bene, si munì di zainetto e ombrello, mi salutò e se ne andò
emozionata!
Io trascorsi la
mattina a finire di sistemare armadi e dispense. All’ora di pranzo cominciai ad
aspettarla con un po’ di agitazione. Non vedevo l’ora di farmi raccontare come
era andata.
Dopo poco sento
la chiave girare nella toppa, mi affaccio sulla soglia della porta della camera
e vedo quest’ombra che avanza nel corridoio, gocciolante e con lo zaino
accartocciato in braccio. Con i pantaloni zuppi fino alle ginocchia e uno
sguardo per la serie “che nessuno parli, potrei uccidere” entrò in cucina,
lanciò lo zaino di stoffa su una poltrona e solo allora mi accorsi che non mi
tornava qualcosa. Allo zaino mancava una bretella, e mentre ci pensavo Crysaora
si stava già togliendo il maglione per mostrarmi un segno rosso sulla spalla, e
tra un vaffanculo e qualche altra parolaccia impronunciabile mi raccontò dell’idiota
che aveva cercato di portarle via lo zaino strappandoglielo da dietro. Ma lei
aveva tenuto duro e nel tentativo di non farsi scippare si era aggrappata alla
bretella che aveva ceduto, mentre con rabbia inveiva contro il ladro che
giudicò anche abbastanza arrendevole.
Ma non fu tutto,
perché poco più avanti era stata avvicinata da una zingara insistente che
pretendeva di parlarle in una lingua non ben identificata, invitandola con una
mano tesa a darle dei soldi. Chrysaora mi disse che la zingara la guardò dritta
negli occhi e le disse qualcosa che a lei parve troppo strano per non
improvvisare subito lì su due piedi un contro-maleficio. E così Chrysaora
ricambiò il suo sguardo e le disse che come in uno specchio il maleficio le
stava ritornando indietro, e glielo disse in italiano, con la speranza che
funzionasse ugualmente. Mai scherzare su queste cose, il primo giorno di
università poi!
Mentre mi
raccontava tutto questo io ovviamente ero piegata in due dalle risate, perché
solo a Chrysaora poteva capitare tutto questo in un giorno solo e non in un
giorno a caso, ma in uno di quei giorni in cui hai bisogno solo di segni
positivi e ben auguranti e non di certo di una zingara iettante e di uno
scippatore poco intraprendente.
Ma Chrysaora è
sempre stata una ragazza diplomatica e, a fine giornata, concluse che quel
welcome così traumatico non poteva che significare una cosa sola: abituati da
subito così ti ambienti prima.
N.B. Riferimenti a cose o persone sono assolutamente NON casuali. Si garantisce l’assoluta veridicità dei fatti.
Tutti i diritti sono riservati ©
N.B. Riferimenti a cose o persone sono assolutamente NON casuali. Si garantisce l’assoluta veridicità dei fatti.
Tutti i diritti sono riservati ©
Nessun commento:
Posta un commento