The Blue Lantern di Marguerite Burnat-Provins |
La poesia è negli uomini e nelle
donne che camminano per le strade, trascinandosi attaccate alle caviglie le
loro vite gorgoglianti.
Ogni mattina la folla indaffarata della mia città si apriva, come a
lasciar passare una celebrità, dinanzi a tre paia di passi in scarpe foderate
di seta calzate da gambe rinsecchite in vecchie collant bianche, qualche volta
a rete, altre decorate.
Mi sono sempre chiesta come facessero quelle tre paia di gambe a tenere
il passo in sincrono. Qualche volta ho persino immaginato che si dessero il
tempo per evitare errori.
In cima a quelle sei colonne traballanti si reggevano tre figure di donne
venute, di sicuro, da un tempo che non c’è più. Una, la più anziana, si
posizionava sempre nel mezzo. Aggrappate alle sue due braccia, le due giovani
figlie strappate al passato.
I loro abiti ricordavano quei vecchi film anni ’30, ma questa volta a
colori, o quei quadri antichi che immobilizzano i soggetti in pose innaturali,
occhi dritto innanzi, testa reclinata da un lato, corpo teso, come madonne
vestite dall’uomo.
La folla cittadina le lasciava passare sospinta dal loro incedere cieco,
incurante di un altro milione di passi.
Qualche volta, d’inverno, la madre indossava una vistosa pelliccia calata
a casaccio su abiti leggeri. Nessun orgoglio in quel monumento del tempo:
impassibilità. Sgargianti abiti da sera indossati in pieno giorno, trucco
marcato intorno a rughe profonde, ciocche imbiancate dentro impalcature di
chignon: a questo fasto di inadattabilità i lavoratori in corsa cedevano il
passo.
Credo che nessuno le abbia mai
sentite pronunciare anche solo una sillaba sfuggita da un sospiro. Statue di
cera vestite a festa hanno continuato a diffondere nell’aria mattutina profumo
di vecchia colonia e di cipria.
Alcuni giorni, come questo, quelle
tre immagini irrompono dinanzi ai miei occhi e mi strappano un sorriso, donne
di storia narrata che si fa carne, si fa poesia.
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