venerdì 24 aprile 2015

Birdman di Alejandro Innaritu. Recensione.

Usa 2014
Durata 119'
Regia di Alejandro Gonzalez Innaritu
Con Michael Keaton, Lindsay Duncan, Zach Galifianakis, Edward Norton, Amy Ryan, Emma Stone, Naomi Watts.
Here we are! Parliamo di Birdman, l'ultima pellicola di Alejandro Innaritu vincitrice di 4 premi Oscar agli ultimi Academy Awards (miglior film, miglior regista Alejandro Innaritu, miglior sceneggiatura originale e miglior fotografia ad Emmanuele Lubezki).

Birdman non è un film come gli altri, o perlomeno non come quelli abituati a vedersi agli Oscar.
Mi sono fatta un'idea di questo unanime trionfo e non ho trovato altri motivi se non il fatto che vedere e premiare Birdman agli Oscar sia stato un po' come se il cinema stesso sia sia guardato allo specchio, abbia storto un po' la bocca in un picco di autoconsapevolezza, si sia fatto scendere una lacrima e molto autoreferenzialemente si fosse premiato, arreso all'evidenza di un'immagine sincera.

In una sede privilegiata come quella degli Oscar come avrebbe mai potuto Birdman non riscuotere l'unanime consenso del rinomato pubblico?!

La pellicola di Innaritu condensa, attraverso uno strumento come il piano sequenza, i suoi stesi obiettivi: raccontare con una tecnica cinematografica il cinema che riflette su se stesso e si mette in discussione.
Birdman è l'eroe che ogni grande attore ha desiderato diventare, il supereroe che fa parlare il suo ego in un inevitabile allontanamento dalla realtà, dai meri interessi dei mediocri, sempre rivolto al raggiungimento del suo trionfo che, in termini di show business, si traduce nel conclamato successo di pubblico.


Se vogliamo, Birdman si fa beffe del cinema stesso, della cerimonia degli Oscar e del pubblico celebre che poi lo ha consacrato vincitore, perché attraverso la sua narrazione serrata e microscopica del tormento del protagonista, Riggan Thompson, ex campione di incassi e interprete del blockbuster Birdman ormai alle prese con la sua inevitabile caduta, spiattella in faccia ai vari ed eventuali grandi interpreti dei cult movie attuali l'inesorabile amarezza della loro condizione.
Birdman, questo eroe alato che continua a sopravvivere impertinente come alter ego del suo interprete, non è altro che la personificazione del desiderio di essere qualcuno, di essere importanti, di vedersi legittimati dal consenso generale in una lotta continua tra arte e spettacolo.

Anche questo c'è in Birdman, l'eterna contraddizione tra arte e show business, tra quella nobiltà della cultura che non riesce a riappacificarsi con il commercialismo dei gusti di massa.
In fondo il pubblico ama i supereroi, si identifica. È una verità questa, ben nota ai vari Clooney, Downey e Affleck presenti agli Academy Awards. Il campione di incassi trionfa e con questo trionfa il suo interprete in un paradigma che lega indissolubilmente l'eroicità del personaggio all'attore che lo ha portato sugli schermi.
Innaritu ha voluto portarci a fare un viaggio sulle montagne russe dell'ego di un attore e lo ha fatto con estrema lucidità calibrando gli strumenti in suo possesso e lasciando che fosse il linguaggio cinematografico stesso ad autodefinirsi.

Il lungo piano-sequenza, come lo stesso regista ha dichiarato, è servito a far sì che la poetica dell'io non trovasse interruzioni, con le sole eccezioni dei fotogrammi iniziali e finali.

Il cast è eccezionale e vede un Michael Keaton non assolutamente casuale. Infatti l'attore è stato a sua
volta interprete protagonista, nel suo tempo d'oro, del film Batman nel ruolo di Batman.
Edward Norton, che qui fa da disturbatore, provocatore, voce critica che spinge tutto agli estremi nella pretesa dell'assolutà verità dell'arte, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo.

La fotografia risponde al dualismo che sottende all'intera pellicola. Realtà e finzione, attore e personaggio da interpretare, palcoscenico e vita, passato e presente, fama e insuccesso: questi sono i poli che calibrano le due anime che coesistono nello stesso uomo.
Nel lirico tragicomico svolgersi degli eventi, la pellicola di Innaritu è un po' come la maschera del clown, che sorride plasticamente senza però riuscire a nascondere la lacrima che pur scende. 



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