E poi ti svegli una mattina in Australia e capisci che sei ancora italiana, lo sarai sempre e ci metterai un po' a
smaltire la rabbia, la rabbia accumulata, quella che ti ha fatto perdere la testa quando ti costringeva all'immobilità, quando ti ha fatto fare le valige, pagare un biglietto di sola andata, quando ti ha fatto pentire dei tuoi studi, quando ti ha fatto desiderare di essere nata 100 anni fa.
Ti svegli e ti accorgi che l'Italia non ti manca e non te ne senti in colpa perché hai dato quello che potevi senza avere niente in cambio e hai dovuto sacrificarti anche per comprare un biglietto per abbandonare l'ultima speranza e andarla a piantare dall'altro lato dell'oceano.
Ti svegli una mattina in Australia e realizzi che sarai sempre italiana ma ormai non molto più diversa da chi 100 anni fa si caricò di figli e valige di cartone alla volta di un paese che fosse più clemente e lasciasse un po' più di fiato. Ma allora era la guerra. E adesso è una guerra diversa. Giocano tutti a chi ce l'ha più lungo ma nessuno ha un briciolo di palle. Non fai molta fatica a realizzare anche che sei a 22.000 kilometri di distanza ma certe cose continueranno a farti schifo anche da qui. Perché partire non è dimenticare, ma è esattamente prendere le distanze e tirarsi fuori da quel meccanismo infernale che ci vuole tutti sull'attenti a berci le stronzate che si impegnano così tanto a propinarci.
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