lunedì 24 giugno 2013

STORIE DI ALTRI - STORIA N.6

Non pensava che adesso sarebbe stato il momento giusto per realizzare così lucidamente una verità che non
sospettava nemmeno esistesse. Ma il momento arriva senza preavvisi e lascia allibiti e inermi, disarmati e pervasi dall’impaccio di non trovare sull’istante un modo appropriato di affrontarlo.

Credeva di avere più tempo per decidere, ma quando il vento del cambiamento si alza – questo lo aveva sempre saputo – bisogna mettersi in buona posizione per farsi travolgere senza aspettare un secondo. La proposta irrinunciabile: doveva partire, lasciare quello che aveva, compreso i rimorsi e le parole lasciate sospese a cercare forme meno taglienti e chiudere in una valigia sempre troppo piccola l’ultimo istinto di sopravvivenza.
Thomas non glielo avrebbe chiesto di nuovo e lei non se lo sarebbe potuto perdonare. Già pregustava la precarietà del viaggio, l’assoluta incoscienza recuperata dai 20 anni che nemmeno si sentiva più e l’imperdibile spettacolo del sole che tramonta nel deserto.
Non aveva avuto il tempo di chiedersi se fosse giusto o sbagliato, un capriccio o una necessità. Era adesso come una foglia  d’autunno che si sforza di restare appesa al suo ramo.

Lorraine afferrò lo strofinaccio sul tavolo e sfornò in tutta calma la torta che aveva preparato al mattino. La sistemò su un vassoio e la mise al centro del tavolo. Aveva letto la ricetta su un vecchio giornale.
Piegò gli ultimi indumenti asciutti appesi al filo in giardino. Come in una qualsiasi giornata di ottobre svolse le sue faccende senza deviare in distrazioni. Guardando fuori dalla finestra si accorse di un uccellino appoggiato sul ramo più vicino. Non aveva mai fatto caso ai colori. Le sembrò che ogni cosa baciata dal sole stesse trovando la sua collocazione naturale, la sua forma perfetta. Si voltò e anche la sua casa le sembrò più bella, vista così nel momento del distacco. Come una casa in cui si è invitati per una visita, in cui ogni oggetto affascina per il distacco con cui lo si osserva.
Dopo un’ora la sua valigia era sull’uscio della porta, messa lì come uno scatolone che bisogna ricordare di portare via, mentre lei, in un paio di jeans, una maglietta e una giacca leggera sistemava i suoi capelli in una coda e sorseggiava un caffè placidamente seduta sulla poltrona di sua nonna, quella che si era ostinata a non buttare. Era l’unico posto che la faceva sentire davvero comoda, come se un oggetto potesse trasmettere lo spirito di chi lo ha posseduto. Non c’era fretta in nessun movimento e a guardarla sembrava potesse rimanere lì per sempre, risucchiata in una grossa poltrona di pelle a guardare fuori dalla finestra. L’orologio rallentava le ore e le nuvole bianche che strisciavano in cielo come bolle di sapone.
Non aveva avuto il tempo di farsi domande e in fondo era consapevole che ad alcune domande è meglio non rispondere. L’urgenza ,l’unica ammissibile, era quella di se stessa. Nemmeno una smorfia velò il suo sorriso di pace quando posò la tazza sul tavolino, afferrò il libro vicino alla lampada, L’infinito di Isabel Allende, e trascinò la valigia fuori dalla porta senza mai alzare lo sguardo verso ciò che sapeva non avrebbe rivisto mai più.

Per Lorraine da quel giorno non ci fu più nulla al di là di se stessa, nessun prolungamento della sua persona, nessuna appendice riconducibile al passato. Più nessun marito, né figli, nemmeno quelli che denunciarono la sua scomparsa quando rientrati a casa trovarono il vuoto ad aspettarli, nessun rumore in cucina, né un tavolo apparecchiato per la cena.
Il piccolo paese partecipò in massa alle ricerche e, come di prassi, furono fatte congetture catastrofiche. Un buco nero l’ha risucchiata – qualche anziano si azzardò a dire.
Ma non ci sono buchi neri nella coscienza di chi si libera. Questo pensava Lorraine mentre guardava la strada dritta e polverosa seduta sul sedile di fianco. Con la coda dell’occhio poteva solo intravedere il profilo della mano di Thomas appoggiata sul cambio, ma non era quella mano che aveva afferrato per fare il salto.
Non era il suo amante, perlomeno non quello che si potrebbe definire un amante. Solo il suo ultimo treno.
Snaturata, azzerata, serafica con una mano si arricciò un ciuffo dei suoi capelli quasi grigi aggrappandosi ad esso come a quella verità che non si aspettava di ricevere mai. Si aggrappò alla sua età, buttando via i rimorsi dall’auto in corsa.
Non ci sarebbe stato più passato a disegnare le parole “mamma” e “moglie”.


Nel paesino di campagna, solo un buco nero.

Nessun commento:

Posta un commento