“Sono stato imitato così bene che ho sentito
persone che copiavano i miei errori”.
Jimi Hendrix
Oggi,
anche ispirata dalle considerazioni di un amico, voglio scrivere di un
argomento diverso: di musica.
È un
topos legato all’adolescenza, ma che si trascina anche ben oltre, quello del
chitarrista capellone rockettaro di paesino con ambizioni da rock man. La passione
per la musica, soprattutto per un certo tipo di musica, è il motore aggregativo
per eccellenza. E la scrematura è veloce, tra quelli che hanno una vera e
propria adulazione per la musica e un talento specifico come musicisti e quelli
che, invece, si improvvisano grandi artisti per spirito di emulazione.
L’emulazione
è proprio lo spartiacque fra la buona musica e la musica che si compiace di se
stessa e di quello che fare il musicista comporta.
La cantina,
il ventre per eccellenza in campo musicale, partorisce da decenni stuoli di
ottimi musicisti, che non verranno mai scoperti, e schiere di band pseudo-rock
che calcheranno i palchi di piccole e, qualche volta, grossi festival.
Ma
questi non sono gli anni ’70 e la cultura musicale si alimenta di ambizioni a
metà strada tra il disco autoprodotto e la partecipazione al talent show in
prima serata sulle reti nazionali.
Il risultato
è che anche le ambizioni tendono a sfumare nel desiderio di farsi conoscere a
discapito dell’autonomia e nell’illusione di una coerenza stilistica fasulla. Nel
mondo della musica la coerenza assume significati ambigui. Alla troppa
coerenza, capace di trasformarsi ben presto in imitazione alla ricerca di un
sogno da rock ‘n roll, servirebbe il contrappeso dell’originalità che può
scaturire solo dalla voglia di rompere gli schemi.
I
grandi maestri della musica hanno conquistato tale titolo solo grazie alla
carica distruttiva con cui hanno voluto dirottare il vecchio verso nuovi
significati musicali, ritmiche e stili.
Accade,
dunque, che i festival, le serate in piazza, i palcoscenici che si prefiggono
lo scopo di lanciare band esordienti brulicano di band fotocopie che,
individuato il faro maestro, non si scrollano di dosso i tanto abusati abiti
alla Nirvana, Metallica e co.
Il mercato
musicale odierno gode a promuoversi come scopritore di volti nuovi, ancora
meglio voci nuove, ma nei fatti basa le sue scelte su analisi commerciali che
utilizzano le voci come metro di giudizio marginale. E così la musica si
trasforma in immagine.
E il
rock, mito indistruttibile di intere generazioni, si svilisce al suono
monostilistico di chitarre accordate per emulazione e si appiattisce su testi
che potremmo intonare al primo ascolto.
Dalle
cantine ai palchi, il Kurt Cobain di turno con ambizioni da front man sciorina
il repertorio dinanzi a schiere di ragazzine invasate, si compiace della
raggiunta somiglianza con il suo mito di sempre dopo aver studiato con
attenzione la sua immagine allo specchio e aver dimenticato che la musica è
poesia, comunicazione, cultura.
Nell’era
dell’integrazione sociale a tutti i costi, dove l’omologazione si fa garante di
un buon inserimento nelle file di coloro che hanno un peso, dove se rispetti il
luogo comune hai la possibilità di concorrere ad un buon posto nella gerarchia
di chi conta, anche la cultura musicale è inghiottita nel gioco del “vado sul
sicuro”.
La
musica è cultura, dirompente, coraggiosa, è sacrificio, quella stessa cultura
che nega la cultura e che lo diventa per paradosso.
Non c’è
sacrificio nell’emulazione.
Nietzsche
scriveva “Il cattivo guadagna di considerazione con l’imitazione, il buono ci
rimette – specialmente nell’arte”.
Nessun commento:
Posta un commento